La chiesa di S. Biagio si trova in piazza Stesicoro proprio di fronte alla grande trincea con i ruderi dell’anfiteatro. La facciata, preceduta da una gradinata, è tardo-settecentesca. Le origini di questa chiesa risalgono al 1098. Dopo il terremoto del 1693 venne riedificata per volere del vescovo Andrea Riggio che vi incorporò la chiesa filiale di S. Biagio di cui il tempio prese nome. Il presbiterio contiene due cappelle, una dedicata al Crocifisso (sinistra) e una dedicata a S. Agata. In questa cappella è custodita una preziosa reliquia che la tradizione lega al martirio della patrona di Catania, la cosiddetta “fornace” di S. Agata da cui viene il nome popolare della chiesa la “carcarella”. La “fornace” è custodita da un vetro; un iscrizione latina ci ricorda una delle fasi più drammatiche della vicenda umana di Agata, il tormento con i carboni ardenti; dice infatti l’iscrizione: “Qui fu travolta fra i carboni accesi”.
I chierici regolari Minoriti vennero a Catania nel 1625 grazie alla protezione del Senato e l’impegno del vescovo Innocenzo Massimo. Nel 1628 si trasferirono nella chiesa di S. Michele in cui eressero una casa che fu demolita dal terremoto del 1693 insieme alla chiesa che avevano appena cominciato a costruire. Il nobile catanese Giambattista Paternò lasciò in eredità ai religiosi una grossa parte dei suoi beni. La chiesa fu costruita secondo la tipologia basilicale con le tre navate divise da pilastri, il prospetto piano e la cupola che fu iniziata nel 1771 e completata nel 1787.
Il prospetto è in bianchissimo calcare contrasta magnificamente con il nero delle strade e dei marciapiedi. All’interno c’è una scala doppia con 13 gradini di marmo; due fonti per l’acqua benedetta poggiate su tavoli in marmo, opere eccezionali in cui si fondono straordinaria perizia tecnica e armonia compositiva. Tra le opere d’arte degne di rilievo segnaliamo: una pala d’altare tardo settecentesca con S. Francesco Caracciolo e l’Arcangelo Michele; un crocefisso marmoreo e una annunciazione di Guglielmo Borremans.
Chiesa S. Francesco D’Assisi (clicca per ingrandire l’immagine)
La storia della chiesa è strettamente legata alla figura della regina Eleonora d’Angiò, moglie di Federico II d’Aragona e sorella del minorita S. Ludovico da Tolosa: una lapide ricorda che nella chiesa sono custodite le spoglie della regina che morì nel 1343. In una tela di pittore anonimo del Settecento (a sinistra dell’ingresso) è rappresentata la regina in compagnia di S. Chiara fondatrice dell’ordine delle Clarisse. L’interno della chiesa e ampio e luminoso e vi si possono ammirare varie e dipinti di P. Liotta, G. Rapisardi, G. Zacco.
L’ampia area presbiteriale, coperta da una finta cupola con i pennacchi dipinti, ha al centro un bellissimo altare cinquecentesco; sullo sfondo è un grande affresco di F. Battaglia con l’episodio dell’indulgenza della Porziuncola.
A destra dell’altare è l’organo sul quale si esercitava il piccolo Vincenzo Bellini che era nato nel palazzo Gravina-Cruyllas che si trova proprio di fronte alla chiesa. Oggi nella casa natale di Bellini è stato allestito un museo che conserva manoscritti e memorie del grande musicista catanese.
«Catania, li so’ chiazzi, li so’ strati,
l’occhi di li so’ donni non tinciuti…
E la villa billini ‘ntra la stati
ccu lu passiggiu di tutti li ziti,
cu tristi, cu fistanti, e cu ‘ncagnati,
cu ‘ncunnatizzi, e cu tutti puliti […]»
(Nino Martoglio, Sonetti)
Ecco un passo preso dai sonetti del Martoglio.
Nino Martoglio nacque a Belpasso, in provincia di Catania, nel 1870. Regista, sceneggiatore, scrittore e poeta italiano, egli rappresentò un orgoglio catanese.
Martoglio, a soli 19 anni esordì nel giornalismo pubblicando a Catania il settimanale politico-letterario-umoristico edito dal 1889 al 1904 D’Artagnan, interamente ideato e scritto da lui, avente lo scopo di discutere arte, letteratura, teatro e politica.
Si distingueva per il suo verismo descrittivo dato dalla descrizione analitica e profonda della sua amata terra.Questa caratteristica la riscontrò Giosuè Carducci, apprezzandone proprio il suo primo ciclo di poesie: “Centona”-( prima raccolta).
Lo ricordiamo perché nel 1901 fondò la Compagnia Drammatica Siciliana con l’intento di far conoscere anche al di fuori della propria città il dialetto locale.
Il teatro con le sue opere furono i tratti salienti della sua carriera artistica e in questo campo collaborò molto con Luigi Pirandello. Debuttò anche al teatro Manzoni di Milano.
Un personaggio importante per noi catanesi e per la Sicilia, in quanto capace di aver preso tutti i pregi ma anche le realtà della nostra terra proponendole e riportandole sul palco o sui libri. Il suo linguaggio semplice e scorrevole ma intriso di sicilianità fu la chiave del successo.
Purtroppo, nel pieno del suo sviluppo artistico lo raggiunse la morte, nel 1921, quando, andando a trovare suo figlio in ospedale, precipitò in una tromba d’ascensore.
Il Palazzo della Cultura – ex Palazzo Platamone e Monastero di S.Placido – occupa un intero isolato di forma trapezoidale; il lato corto di questo isolato è impegnato dalla facciata della chiesa di S.Placido e solo in parte dall’edificio, che si sviluppa, invece, lungo i lati più lunghi. La chiesa è uno dei gioielli della Catania barocca; il prospetto (1769) è di Stefano Ittar che ha saputo creare un gioco di concavità che si ripropone anche nell’interno luminoso.
Dentro il Palazzo della Cultura sono incastonate alcune strutture murarie che appartenevano all’antico palazzo “alla marina” della famiglia Platamone, che insieme con quello dei Biscari ebbe la concessione di aprire nelle mura della città un passaggio che conduceva direttamente al porto. La casa dei Platamone si trova inserite nel monastero perché già nel XV secolo la famiglia le aveva donate ai religiosi; quando, con il terremoto del 1693, il convento crollò, venne ricostruito inglobando le testimonianze più antiche. Ciò che oggi resta di tutte le costruzioni quattrocentesche è il grande loggiato sormontato dal parapetto di un balcone (XV secolo).
La grande e luminosa piazza Università è dominata dalla mole rigorosa del palazzo dell’Università; la prestigiosa istituzione fu voluta, nel 1434 da Re Alfonso d’Aragona e restò, per molto tempo, l’unica della Sicilia. Fu, però, nel XVIII secolo che essa crebbe di prestigio influenzando culturalmente la vita cittadina; questa importanza è sottolineata dal fatto che il palazzo degli studi venne collocato in una piazza disegnata e ritagliata proprio all’inizio della via principale di quel tempo e cioè la via Uzeda (oggi via Etnea), che aveva inizio dall’omonima porta monumentale.
La storia del palazzo attuale ha inizio nel 1696, tre anni dopo il terremoto che distrusse Catania, quando cominciarono i lavori di ricostruzione sulle fondamenta dell’antico edificio. Il cortile circondato da un elegantissimo porticato a due piani fu disegnato dal Vaccarini (1730). Il prospetto principale è stato ridisegnato dall’architetto Mario Di Stefano dopo i danni provocati dal terremoto del 1818. Il catanese Giovan Battista Piparo affrescò il primo piano e la volta della sontuosa Aula Magna che presenta le pareti interamente rivestite di damasco. I lavori della nuova sede furono completati verso la fine del XVIII secolo quando si poterono riunire tutti gli istituti e i gabinetti scientifici necessari per un regolare svolgimento dei corsi di laurea.
Oggi invece l’Università di Catania, che conta oltre 53.000 iscritti, ha sedi in vari punti della città e in particolare nella grande cittadella universitaria nella zona nord della città.
Di fronte al prospetto nord della cattedrale, sulla via V. Emanuele, c’è la chiesa della Badia di S. Agata che occupa, insieme all’annesso ex monastero, un intero isolato. L’edificio che oggi vediamo poggia sulle rovine dell’antica chiesa e convento dedicati a S. Agata, nel 1620, crollati a causa del terremoto del 1693.
La chiesa è un capolavoro architettonico di G.B. Vaccarini (1735-1767): ha la pianta a croce greca allungata inscritta in un ovale che ha l’asse maggiore ortogonale alla facciata. Il prospetto principale, con la sua alternanza di superfici convessa-concava-convessa, al primo ordine, e tre volte concava al piano attico, ripropone una tematica molto cara al barocco: quella dell’architettura in movimento. La decorazione interna è molto semplice ed essenziale, stucchi bianchi alle pareti, statue, preziosi altari e ricami di marmo sul pavimento. Su ogni altare sono poste statue di stucco lucido: S. Euplio, S. Giuseppe, S. Agata, l’Immacolata e S. Benedetto.
Secondo alcuni studiosi la chiesa di S. Giuliano può essere attribuita al Vaccarini che l’avrebbe realizzata tra il 1739 e il 1751. Il prospetto, concavo al centro, è movimentato da una loggia di coronamento che si dispone all’altezza del secondo ordine della facciata. Sul frontone spezzato, che sovrasta il portale d’ingresso, poggiano due figure femminili allegoriche.
Il breve sagrato, chiuso da una cancellata, è decorato da una tessitura di sassi bianchi e neri. In alto, la cupola è avvolta da un loggiato poligonale che ricorda quello della chiesa di S. Chiara.
Da questo loggiato le religiose, spesso provenienti da famiglie della nobiltà catanese, potevano seguire la processione della festa di S. Agata che, la notte del giorno 5, saliva lungo la via Sangiuliano per svoltare, poi, in via Crociferi. L’interno, avvolto da una suggestiva luce dorata, è un grande spazio ottagonale in cui trovano posto le ampie cappelle e gli altari.
Chiesa S. Francesco Borgia (clicca per ingrandire l’immagine)
La Chiesa di S.Francesco Borgia (santo spagnolo nato nel 1510, parente di Carlo V) è caratterizzata dal bel prospetto in pietra bianca opera dell’architetto frate Angelo Italia e al suo interno custodisce opere di grande bellezza: come il pulpito con il drappeggio in legno ad imitazione della stoffa, la cappella di S.Ignazio, la cappella di S.Francesco Saverio rivestita di pregiati marmi. Oggi la chiesa affidata alla Soprintendenza Regionale ai Beni Culturali e vi si svolgono eventi culturali. A fianco alla chiesa c’è ex collegio dei Gesuiti.
Chiesa S. Nicolò L’Arena (clicca per ingrandire l’immagine)
La grande chiesa di San Nicolò, che si ispira ai modelli architettonici romani, fu iniziata nel 1687 su disegno di G.B. Contini. Dopo il terremoto del 1693 i lavori furono portati avanti da diversi architetti, tra cui Francesco Battaglia e Stefano Ittar; quest’ultimo realizzò la cupola alta 62 metri: il prospetto rimase incompiuto (1796); tra le cause principali dell’interruzione dei lavori vi furono le difficoltà di ordine tecnico e i gravi problemi economici. L’interno della chiesa è a tre navate e raggiunge una lunghezza di 105 metri; ciò che colpisce è la grandiosità delle partizioni architettoniche e la chiara luce diffusa che penetra dagli alti finestroni.
Al centro dell’area presbiteriale spicca il grande altare maggiore realizzato con materiali preziosi, tutt’intorno si dispongono gli stalli del coro ligneo scolpiti dal palermitano Nicolò Bagnasco. Ma l’opera che aveva, nel passato, dato più lustro alla chiesa era il celeberrimo organo realizzato dall’abate Donato del Piano, che “imitava esattamente tutti gli strumenti a corda ed a fiato: ha 72 registri, cinque ordini di tastiere, 2.916 canne”. Degna di una particolare attenzione è anche la grande meridiana lunga 39 metri. Fu realizzata, nel 1841, dagli astronomi Wolfrang Sartorius barone di Waltershausen di Gottinga e dal prof. Cristiano Peters di Flensburgo.